Vive e lavora a Trissino.
“Il caso non esiste” (Gibbs NCIS) di Bettina Galiotto
C’è sempre un nesso, un significato che va oltre i singoli accadimenti della vita. Esiste un filo sottile che lega l’invisibile al visibile, alla materia.
L’uomo artefice della propria esistenza, plasma la materia a suo piacere, teme “il caso”. La mia sensibillità è sempre in bilico tra “controllato” e “incontrollabile”. Sperimento equilibri sempre nuovi tra acqua (elemento vitale) e pigmenti (materia). Le mie combinazioni sono fatte di mescolanza e tensione, trasparenze e coperture dense, con un linguaggio quasi inconscio. Mi pongo di fronte ad “Altri mondi”, ad “Orizzonti” lontani, linee di confine tra terra e cielo. A “Tappeti” di magma nero dove vi si scorgono embrioni di vita, osservando elementi biologici che si moltiplicano. Attimi suggestivi espressi – impressi su carta con tecniche quali la decalcomania o con strumenti del tutto inusuali come la frusta o le bolle di sapone. Dentro una “Bolla” ci sono visioni, suggestioni, emozioni, parti di noi stessi, ognuno la sua. La mia arte è un moto dall’anima, forse una malattia o una terapia. Qui “il caso non esiste” sono io che creo, che parlo, che ottengo da un gesto unico, ben preciso, e scelgo l’attimo per far dialogare l’informe con la forma.
… la frusta ad imprimere un fiore, nero!
Personali
2023 Istanti Infiniti, And Art Gallery, Vicenza
2021 Colors, Banca Mediolanum, agenzia di Arzignano
2017 Impressioni Carta, a cura di Marco Mioli, Unione Collector, Vicenza
2016 Incontro con l’artista, Banca Mediolanum, Arzignano, Vicenza
2015 Margherite Bolle e Tappeti, a cura di Giulia Del Cappellano, Cultura Live, Paese, Treviso
Margherite Bolle e Tappeti, a cura di Marco Mioli, Amatori Design Live, Vicenza
2014 Installazione, Spazio Inart, Trissino, Vicenza
2011 Altri Mondi a cura di Bettina Galiotto, presso spazio INART, Trissino, Vicenza
2011 Altri Mondi evento multidisciplinare, presso Biblioteca Civica Trissino, Vicenza
2003 Linea e Colore presso Proloco Trissino, Vicenza
1999 Personale a cura di Resi Girardello, presso Proloco Trissino, Vicenza
1998 Personale a cura di Antonella Santac, presso Artestudio Arzignano, Vicenza
Mostre Collettive
2024 Exhibition 11, a cura di Piero Chiariello Cinema, multisala Corallo, Torre del Greco, Napoli
2024 Artecontemporanea, a cura di Piero Chiariello, Hotel Punta Quattroventi, Ercolano, Napoli
2024 Garbo, a cura di Daniela De Paolis; Galleria WOW Arte al centro, Perugia
2023 Contamin-azioni, LDM Gallery, Firenze
2023 Artefiera, Cremona
2023 Baf, Arte e Fiera, Bergamo, Artea Gallery
2023 Expo Arte, Fiera, Monticchiari, Artea Gallery
2022 Baf, Arte e Fiera, Bergamo, AndArt Gallery
2021 Illuminazioni, Miti e Mete, Villa Da Porto, Montorso Vicentino
2021 Suitcase Project, Festival I Maestri del Paesaggio, a cura di Erika Lacava
2021 Workshop, dipingere con le bolle di sapone, per docenti e insegnanti, Centro Zaffira, Rimini
2020 Biennale Do Douro, Douro Portogallo
– Mirror face to face e Mail art Print, Villa Caldogno, Vicenza
– Mirror face to face, Stara’ Zagora art Gallery, Bulgaria
– Fragili Equilibri, dipingere con le bolle di sapone, Workshop Museo Mart, Rovereto, Trento
– Possibili scenari, Spazio Rizzato, Marano Vicentino
2019 .4 di carta Papermade,biennale internazionale di carta a cura di Valeria Bertesina, Palazzo Fogazzaro, Schio, Vicenza
2019 Suitcase Project, a cura di Erica Lacava, mostra itinerante:
– Spazio Rizzato, Marano Vicentino, Vicenza,
– VisioniAltre, Galleria, Venezia,
– Artekeyp, Galleria, Modena,
– Libreria Sovilla, Cortina D’Ampezzo, Belluno
– Fondazione Bandera per l’arte, Busto Arsizio, Varese,
– Heart-Pulsazioni culturali, galleria, Vimercate , Monza Brianza,
– MancaSpazio, Galleria, Nuoro,
– Studio Bolzani, Galleria, Milano
2018 Faces- I Volti dell’uomo, a cura di Independent Artists, Villa Brentano, Busto Garofalo, Milano
2017 Hangar Folwer, Arzignano, Vicenza
A&Life Gallery, Zurich, Svizzera
2016 Small is beautiful, a cura di Erika Lacava, Zoia Gallery, Milano
Miti e Mete, Reattore n° 4 – Chernobyl, Villa Da Porto, Montorso Vicentino, Vicenza
2015 Artisti per il Giubileo, Palazzo Maffei Marescotti, Roma
Private Views, Merlino Bottega d’arte, Firenze
2013 Promenade in Greenville, laboratorio Greenville, Verona
2012 Dal segno al linguaggio, a cura di Sotirios Papadopulos, Caffè Garibaldi, Vicenza
Il fragilismo, a cura di Sotirios Papadopulos, Design Library, Milano
2011 Metamorphosis, Chiostro degli Agostiniani, Roma
2009 D’Inverno-D’Estate, a cura di Graziella Zardo, Galleria Primo Piano, Vicenza
2003 Ex Tempore, Brendola, Vicenza
1999 Espressione Giovani, Arzignano, Vicenza
1998 Espressione Giovani, Arzignano, Vicenza
1997 40 anni del Circolo “La Soffitta”, a cura di Otello De Maria, Chiesa di S.Giacomo, Vicenza
Il percorso di Fabio Refosco composto di tempo e di stratificazioni, un percorso in cui la pittura diventa una “quotidianità in cui immergersi”, un gesto indagatore ripetuto sistematicamente come necessità. Un gesto che non desidera il controllo assoluto sulla forma, ma ama controllare solo in parte, per poi lasciare incontrollato, istante dopo istante.
Il centro dei lavori di Refosco sembra essere l’imprevedibilità della resina che svivola sulla carta, un gesto poetico e drammatico che assume vita propria in una infinità di microvariazioni, sfumature, volute, vortici. Una vertigine informale di resina nera su carta che parla dell’indefinito come necessità estetica. Ogni frammento è un momento, un giorno, un’ora, un’esperienza, un percorso intimo. Un “evento” destinato a rimanere nei cumuli di eventi accattastati nello studio di Refosco o a prendere vita in forme antropomorfe come nella “serie teschi”, oppure a venire inserito come un fossile all’interno di piccoli cubi di cemento, o ricomposto come un mosaico assieme a molti altri frammenti. Sembra essere quest’ultima tensione il principio del lavoro “Untitled”, lavoro che parte da una unità per venire successivamente diviso e poi ricomposto in una griglia ortogonale, un intreccio intimista di colate e gocciolature che ricompone alla fine la forma iniziale, il cerchio. Sembra esistere nel lavoro di Refosco una spinta a “urbanizzare” il vissuto ed a inquadrarlo in una geometria, in una sommatoria di micro eventi sparsi dove il generale e il particolare sono in un dialogo spesso conflittuale ma spinti ad una coesione di senso. È difficile non farsi venire alla mente i primi lavori dell’artista che hanno come soggetto le città. Sono tele in cui Fabio Refosco traccia linee ortogonali che dividono lo spazio e nei quadrati risultanti campiture di colore diverso affermano la loro autonomia e indipendenza, pure creando nell’insieme una identità collettiva, un senso generale. È questo dialogo continuo tra particolare e generale che fa emergere la ricerca più profonda da parte dell’artista di una “scala” per poter osservare pienamente la “mappa” della resina, dei suoi percorsi, dei suoi antrafatti, dei suoi emotivi sconfinamenti. È probabilmente la tensione ad una necessità di senso e ordine generale in un vissuto di micro eventi distanti che spinge Fabio Refosco in questo percorso intimo, indefinito, riflessivo.
L’opera di Fabio è il respiro di una profonda leggerezza, e per penetrarla non basta che un sospiro. Tutto il suo lavoro sembra ripercorribile attraverso dicotomie, coppie di contrari che però trovano nel proprio opposto complementarietà e giustificazione. Nei suoi Fiori del male, per esempio, la bellezza e la fragilità dei soggetti nasce da un gesto di violenza, l’immobilità del nero si riempie di significato solo nella densità del bianco. La leggerezza inconsistente delle bolle, invece, è pro-gettata in assenza e si completa con la pesantezza e la densità dei cementi.
Le sue filiformi margherite sono il risultato di una ricercata gestualità: l’artista conosce dal principio la traiettoria del suo “pennello” eppure non può sottrarre il proprio risultato al caso, a quell’ignoto spazio a cui la probabilità dedica i propri sforzi. Quel libero gioco di cui ci parla Fabio è uno studio, è una ricerca scrupolosa delle leggi che domano questa casualità. Il pennello dell’autore è una frusta di corda, il cui brutale scatto al contatto con la lastra produce un esile fiore nero. La violenza insita nel gesto viene educata alla bellezza dal fortuito, si colora di un sentimentalismo minimale, si piega alle leggi dell’attrito.
Le possibili interpretazioni si spogliano di qualsiasi caricatura e inestetismo concettuale rivelando una catarsi. Il bello è in quel bianco vuoto che separa gli steli, che gli conferisce presenza, quel vuoto che in realtà è il colore stesso, che è figura e paesaggio. L’artista sceglie con piena coscienza di non usare altri colori, con questo duo cromo sa di esaurire tutte le possibilità.
Nelle bolle esiste un’inversione di questo processo: con un soffio leggero l’artista accompagna le bolle di sapone e acrilico fino alla superficie che ne infrange improvvisamente la forma. La bolla, dopo lo scoppio continua a persistere, ma in assenza. Si mantiene positivamente, in apertura, sporca lo spazio trasfigurandosi mimeticamente in un firmamento di piccole macchioline. Ecco emergere da questo lavoro un altro concetto che fa da cardine all’opera dell’artista: il peso, la gravità. Le bolle ci rimandano allora ai cementi: forme inermi, solide, inattaccabili… eppure la loro compattezza impedisce loro di muoversi, di cercare equilibrio nell’aria, di infrangersi. Ma se nell’iter artistico la bolla si distrugge per ricrearsi metaforicamente, il cemento persiste racchiudendo e proteggendo la fragilità di un piccolo plexiglas.
Un altro tassello fondamentale è rappresentato da Mirror: l’opera è racchiusa all’interno di un guscio di plexiglas. Sembrerebbe impossibile riscontrare una presenza luminosa nel nero, eppure il materiale plastico riflette lo spettatore, che si immerge nella calma immobile e sigillata del colore, diviene la sua parte complementare e rappresenta, infine, il compimento dell’opera.
Elisa Mozzelin
Possiamo specchiarci nel nero? Una lastra di plexiglass sigilla il colore, denso: eppure è luce che riflette. Forse è questa l’essenza della ricerca artistica di Fabio Refosco, l’artista vicentino che nella sua produzione, principalmente gestuale, mima coppie di antitetici concetti. Le sue filiformi margherite sono in risultato di una ricercata gestualità: l’artista conosce dal principio la traiettoria del suo “pennello” eppure non può sottrarre il proprio risultato al caso, a quell’ignoto spazio a cui la probabilità dedica i propri sforzi. Quel “libero gioco” con cui Fabio descrive le proprie opere è in realtà uno studio, una ricerca scrupolosa delle leggi che domano questa casualità. Il pennello dell’autore è una frusta di corda, il cui brutale scatto al contatto con la lastra produce un’esile fiore nero: la violenza insita nel gesto viene educata alla bellezza del fortuito, si colora di un sentimentalismo minimale, si piega alle leggi dell’attrito. Le possibili interpretazioni spogliano di qualsiasi caricatura e inestetismo concettuale rivelando una catarsi. Il bello è in quel bianco vuoto che separa gli steli, che gli conferisce presenza: quel vuoto che in realtà è colore stesso, che è figura e paesaggio. L’artista sceglie con piena coscienza di non usare altri colori, con questo duo cromo sa di esaurire tutte le possibilità. In Bolle esiste un’inversione di questo processo: con un soffio leggero l’artista accompagna le bolle di sapone e acrilico fino alla superficie che ne infrange improvvisamente la forma. La bolla, dopo lo scoppio, continua a persistere, ma in assenza. Si mantiene positivamente, in apertura, sporca lo spazio trasfigurandosi mimeticamente in un firmamento di piccole macchioline.
Elisa Mozzelin / Estate 2016 / Rivista Area Arte
Caro Fabio, nel tuo studio è disponibile una vasta gamma, anche se quasi esclusivamente in bianco e nero, di segni lasciati da graffi, cordate, pressioni, soffi, schizzi di inchiostro su carte particolari che danno il via a un processo di genesi parzialmente incanalato verso determinate direzioni creative. Come e quando sei passato da un fare figurativo a uno esplicitamente gestuale, anche se non del tutto casuale?
Fabio Refosco: Penso ci siano vari fattori che mi hanno portato a cambiare “direzione” dai primi lavori in cui usavo il colore puro creando le città sospese, campiture delimitate da contorni neri in una sorta di griglia geometrica con raffigurati castelli, città e costruzioni che però, nel corso degli anni, sono andate via via scomparendo, fino a sintetizzare sempre di più. Avevo la necessità di trovare un mio linguaggio. Ho sempre cercato di lavorare con le mie sensazioni, scavando nel mio inconscio, e dopo un’accurata ricerca ho trovato nella carta come supporto un ottimo materiale. La mia sensibilità è sempre in bilico tra “controllato” e “incontrollabile”, sperimento così equilibri sempre nuovi tra acqua (elemento vitale) e pigmento (materia).
Fabio Refosco: Mi sento come un ricercatore che guarda un vetrino attraverso il microscopio, cogliendo anche il più piccolo segnale di vita.
Per esempio, srotolando i “tappeti” sento sempre nuove emozioni e, in questo magma nero, osservo embrioni di vita ed elementi biologici che si moltiplicano. Nei frammenti, invece, lavoro su dei grandi fogli e, con l’aiuto di un piccolo vetro, cerco solo un piccolo particolare che poi ingrandisco di 100 volte e proietto su una parete. L’azione della scelta è fondamentale perché è come creare un micro mondo e solo quello: il resto viene stracciato.
Fabio Refosco: Per questo progetto ho voluto portare la serie Horizon, delle piccole opere su carta con l’incontro tra il pigmento, l’acqua e la resina. Ho dato vita a questi orizzonti che mi ricordano molto i paesaggi della Pianura Padana, piccoli segmenti della linea di confine tra terra e cielo. Racconto di un viaggio, il viaggio che faccio da passeggero, in auto, dopo un grave incidente. Sono costretto a lunghi viaggi tra un ospedale e l’altro, e osservo il paesaggio che corre ai bordi dell’autostrada, i campi, gli alberi, la nebbia, il cielo. È un lavoro poetico, con piccoli messaggi scelti che ti costringono a fermarti ed entrare nel “piccolo” per immaginare il “grande”.
Fabio Refosco: Il viaggio per ora mi porterà in giro per l’Italia con altre 7 tappe della mostra. Il bagaglio che mi porto è sicuramente più ricco, soprattutto grazie ai compagni di viaggio che ho avuto finora. È stato molto stimolante lavorare allo Spazio Rizzato, con Gabriele Cavedon e Alice Traforti abbiamo trovato insieme una sinergia che ha dato vita non a una mostra statica, ma a una straordinaria esperienza.